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sabato 5 giugno 2010

Incredulità vo sospendendo...

Altrove mi si chiede di chiarire un concetto che con molta acutezza si dice debba presiedere alla creazione di ogni vicenda fittizia, e dunque non solo un romanzo di genere fantastico, ma anche e soprattutto un romanzo tout court: la sospensione dell'incredulità. In breve, un'apertura di credito da parte del lettore all'autore del libro che sta leggendo, e cioè la volontà di sospendere le proprie facoltà critiche passando sopra incongruenze non sostanziali dell'opera e in ultima analisi, godersela.
Così scriveva Coleridge nell'Ottocento.
E modestamente, io aggiungo che alla sospensione dell'incredulità concorre un insieme di artifici stilistici e narrativi: anche quelli devono essere in grado di far dimenticare al lettore che proprio di una vicenda di fantasia si tratta.
Insomma, di riffa o di raffa, il lettore deve credere in quanto gli si narra, deve dimenticare di star sfogliando un romanzo, si deve convincere che quanto sta leggendo potrebbe essere vero, o comunque verosimile.
Ovvio che in fantascienza questa regola conta parecchio: in Battlestar Galactica sarò propenso a non fare caso all'assoluta improbabilità di navi senzienti che combattono nello spazio o a cloni che si replicano pressoché all'infinito, perché l'interazione fra i personaggi mi farà entrare in un complesso universo di interrelazioni, queste sì, tutte molto credibili. Una quasi soap-opera al servizio della credibilità della trama, mi chiederete? Non proprio, ma all'occorrenza anche questo.
In Farscape dovrò fare appello a tutte le mie forze per mettere un diaframma iniziale tra la missione originaria di John Crichton, tutto sommato ancora abbastanza credibile, e il serraglio di creature invece impossibili che il precipitare di questa missione gli apre, una volta che la sua navetta finisce in un tunnel spaziale: un espediente, questo della porta verso un altro mondo, che con ogni evidenza pare funzionare, se si pensa anche al successo della serie di Stargate.
Ci mettiamo una porta, e dietro c'è di tutto. Un po' come in Narnia, ma anche in Harry Potter.
Oppure cambiamo chiave, alla porta sostituiamo l'isola, ed ecco Lost.
Fin qui però abbiamo parlato di serie televisive: la TV è un potente mezzo in cui la realtà e la fantasia tendono a fondersi con più facilità, e la soglia di credulità di chi ne fruisce tende corrispondentemente ad alzarsi: l'odierna videocrazia ne è una testimonianza evidente.
In un romanzo l'operazione è più complessa, perché di norma chi si avvicina alla parola scritta è più smaliziato di chi fruisce della televisione - è questione di numeri - e più esigente di chi si abbandona al grande schermo. Di norma, ma non sempre.
Tuttavia, quando una trama letteraria naufraga nell'improbabile, in genere lo smottamento appare subito evidente. Vediamo come.
A volte un autore pensa di favorire la sospensione dell'incredulità ancorandosi a descrizioni meticolose: nella letteratura fantastica capita spesso con le ucronie, e il risultato purtroppo sono pesantissimi infodump - altro termine misterioso - in cui il lettore viene sottoposto a ogni forma di tortura cronologico-alternativa per spiegare nel dettaglio come mai le ali della farfalla hanno battuto a destra anziché a sinistra. E giù con cronache degne di Giulio Cesare su battaglie ipotetiche e cadute conseguenti di governi, il tutto rigorosamente immaginario; l'immaginazione sfrenata a cui si pone una regola di "verosimilità" per dimostrare che la catena allostorica di eventi avrebbe rigorosamente portato proprio al risultato che ci sta a cuore.
Altre volte un autore preferisce mantenere il contesto volutamente indefinito e ancora la sua presunzione di essere "creduto" a solide tecniche di introspezione o analisi psicologica: in un romanzo di genere fantastico ci descriverà a colori sfumati un contesto post-catastrofe o una società futuribile, per usare poi ogni tipo di matita e carboncino per proporci qualcosa che ci è già familiare: il rapporto genitori-figli, il complesso di Edipo, la formazione di un adolescente. Insomma, topoi in cui tutti possano riconoscersi.
Alle volte il meccanismo riesce: China Miéville dipinge il mondo alternativo steampunk di Perdido Street Station in modo così naturale che pare quasi di stare a Londra senza far troppo caso che, invece dei piccioni, svolazzano i dragomini;
altre volte ci si commuove al percorso di liberazione di Enki in Nessun uomo è mio fratello, ma se si alza lo sguardo dai tacchi del protagonista in marcia, il contorno appena abbozzato da Clelia Farris pare altrettanto impalpabile di un limbo. Un non-luogo.
Altre volte ancora i protagonisti sono così vivi e vitali che un mondo del tutto improbabile come la Cetaganda di Lois McMaster Bujold ci appaia invece del tutto giustificabile, al punto di vederne nella mente le strade, di notare la ricchezza degli abiti delle Haut-Lady e le maschere variopinte dei Ghem-Lord.
Cosa presiede, dunque, al funzionamento del meccanismo, fermo restando che ciascuno di noi ha una sua precisa soglia di incredulità? In buona sostanza, io penso, la qualità di una penna.
E,non ultimo, la bontà dell'idea che questa penna deve descrivere.

1 commento:

  1. D'accordo con tutto.

    Però…

    Però io credo che molto dipenda anche dalla capacità dell'autore di costruire un collegamento personale con il lettore. La sospensione dell'incredulità non è solo questione di qualità di scrittura ma anche di background condivisi ed empatia.
    Poi certo, la buona penna aiuta.

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