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giovedì 10 giugno 2010

La fantascienza e il Professore

Nel 2005 Urania pubblicava L'altra realtà, curioso romanzo borderline in cui lo psicoterapeuta e saggista Giulio Cesare Giacobbe mescolava generi e provocazioni. Vi ripropongo l'interessante intervista che mi rilasciò l'amico Giulio allora...

Giulio, la fantascienza appartiene alla categoria delle seghe mentali?

Indubbiamente sì. Come tutta la letteratura, d’altronde. Anzi, più degli altri generi letterari perché si tratta specificamente di una proiezione fantastica che di solito ha poco a che fare con la realtà. Naturalmente, come tutta l’arte, ha una funzione catartica, e quindi terapeutica utilissima, perché compensa la frustrazione quotidiana. Vi è da dire però che laddove la letteratura fantascientifica non si allontana troppo dalla realtà ma anzi assume la funzione di portare alle estreme conseguenze alcuni aspetti e tendenze della società contemporanea assolve ad una funzione che non è più evasiva e scollegata dalla realtà ma anzi propriamente scientifica in quanto previsione ragionevole dell’evoluzione storica della cultura umana e quindi monito per il presente. Come il mio L’altra realtà o come 1984 di George Orwell (mi si perdoni l’accostamento letterariamente imparitario ma tematicamente corretto).


Quali sono i modelli letterari di Giulio Cesare Giacobbe?


I miei modelli per quanto riguarda la fantascienza sono Robert Sheckley e Douglas Adams, oltre che Ray Bradbury e Franz Kafka. Uno dei miei grandi rimpianti è non avere conosciuto Sheckley di persona, visto che ne avevo la possibilità essendo stato lui spesso a Genova ospite di Roberto Quaglia. Come vedete, l’ignoranza, come dice il Buddha, è la madre di tutti i mali. Vedo la fantascienza, oltre che un specchio del futuro, come un contenitore che comprende tutti gli altri generi della letteratura. Bradbury ha dimostrato che si può fare una fantascienza poetica. Kafka, Adams e Sheckley hanno fatto una fantascienza surrealista. Adams vi ha introdotto l’umorismo. Io, nel mio piccolo, ho cercato di introdurre nel mio romanzo L’altra realtà il poliziesco, il thriller, l’horror, il noir, il comico, il lirico, lo scientifico, lo storico, l’onirico, il surreale e, come piace adesso, l’azione. Proprio per questo, probabilmente, ad alcuni lettori non è piaciuto. Sono abituati ad un unico genere specifico e di fronte ad una varietà di generi si sentono a disagio. Ancora una volta senza volermi paragonare, la stessa cosa è accaduta a James Joyce con il suo Ulisse. Ho paura che come lui dovrò aspettare parecchio, perché il mio romanzetto venga apprezzato.

L'altra realtà è il tuo primo romanzo di fs. Come lo definiresti?

Un romanzo preconitore come 1984 di Orwell, come ho detto. In I robot e l’Impero Isaac Asimov presenta un mondo dove le persone non hanno quasi più contatti fisici fra loro. Non è lontanissimo dalla realtà. Oggi la gente passa molte ore della propria giornata davanti al televisore senza parlare con gli altri. Addirittura ogni singolo individuo ha un suo televisore personale o un computer per lavorare e sta chiuso da solo in una stanza per la gran parte della giornata. Il risultato è una enorme riduzione della vita sociale. Ricordo che quando ero bambino gli abitanti di uno stesso caseggiato si frequentavano normalmente e nei giardini sotto casa si incontravano gli abitanti di un intero quartiere. Oggi quasi tutti gli abitanti delle grandi città non conoscono il proprio vicino di casa. Oggi la frequentazione fra le persone è fittizia. Nelle discoteche e negli stadi non si dialoga, si urla, sia pure tutti insieme. Fra trenta o cinquant’anni ci sarà pochissima gente in giro, nelle grandi città. La realtà virtuale sta facendo, sul piano tecnico, passi da gigante. Non è davvero escluso che si arrivi alle poltrone dell’altra realtà descritte nel mio romanzo.

Un libro che ha destato qualche perplessità tra i fantascientifici schietti. Perché secondo te?

Per una questione di moda e di forma o, se preferisce, per usare un linguaggio cinematografico, di sceneggiatura e di montaggio. Perché le prime quarantasei pagine sono descrittive e i lettori di fantascienza come tutti i lettori di oggi non sanno più apprezzare le descrizioni, abituati come sono all’azione immediata e ai dialoghi veloci delle fiction televisive americane. Io stesso, ho questo condizionamento. Ma io ho voluto mettere alla prova la mia capacità di narratore, non la mia capacità di ottenere un successo di vendite in qualsiasi genere letterario. E poi le mie descrizioni non sono descrizioni di paesaggi o di riflessioni intimistiche, come avveniva nei romanzi fino a trent’anni fa e in qualche caso ancora oggi nell’ambito della cosiddetta letteratura “seria”, cioè intellettualistica e impegnata. Le mie sono sempre descrizioni di azioni. E dopo quelle prime quarantasei pagine L’altra realtà assume un ritmo da thriller che corrisponde perfettamente al gusto contemporaneo. Ma tant’è, quelle prime quarantasei pagine non sono andate giù a molti lettori, stando ai resoconti di un sito autorevole come uraniamania, e in questo tranello è caduto anche un lettore raffinato e d’eccellenza come Emilio Di Gristina (nickname Moebius), sia pure con l’intelligenza di qualche riserva. Ma c’è ancora un altro motivo. L’altra realtà ha la struttura di un giallo. Per buona parte del romanzo non si capisce che cosa accade veramente e quale sia la soluzione del mistero. Tutto si scioglie e si capisce soltanto alla fine. Ma evidentemente i lettori di fantascienza di oggi sono poco avvezzi, al giallo, nonostante vi siano stati illustri esempi in questo senso, nello stesso Sheckley (La settima vittima, Anonima aldilà, Scambio mentale, L’agente X), in Jack Finney (L’invasione degli ultracorpi), in Clifford Simak (La casa dalle finestre nere, Camminavano come noi), in Nigel Kneale (Progetto Quatermass) e in altri autori della fantascienza americana e inglese degli anni Cinquanta e Sessanta. Ma così doveva essere, per L’altra realtà. Se avessi svelato sin dall’inizio che si trattava di sogni della realtà virtuale il romanzo sarebbe stato banale e noioso. Anche se alcuni sono riusciti a trovarlo noioso lo stesso, io, come autore, ho seguito il mio dovere di renderlo più avvincente possibile. Se non ci sono riuscito è colpa mia che non ho seguito la moda di oggi. Isaac Asimov con Fondazione, Frank Herbert con Dune, George Lucas con Guerre stellari, ci hanno abituati a una fantascienza interstellare e cosmica, affascinante quanto fulgido esempio di sega mentale, di fuga dalla realtà in un improbabile futuro lontano migliaia se non milioni di anni. È quella che va di moda oggi e chi non si incanala in quest’alveo non ha successo. Personalmente sono per una fantascienza come deformazione del quotidiano e previsione di un non troppo lontano futuro. Forse è soltanto una questione di gusti. Ma io ovviamente devo seguire i miei.

Fantascienza italiana, mondo povero e molto litigioso. Perché, secondo Giulio Cesare Giacobbe?

Non lo so e non mi interessa saperlo. Non ho nessuna conoscenza del mondo degli scrittori italiani di fantascienza. Ignoravo persino che ne esistesse uno. Ho conosciuto gli autori liguri e mi sono parsi tutti simpatici e socievoli. Se c’è litigiosità in ambito nazionale è facilmente spiegabile e naturale. Quando la torta è piccola e i commensali sono tanti è naturale che vi sia un po’ di lotta. Personalmente posso permettermi il lusso di rimanerne fuori. Primo, perché il mio mestiere vero, nel mondo dell’editoria, è quello del saggista e non del romanziere (probabilmente, visti i risultati, L’altra realtà rimarrà il mio primo e ultimo romanzo di fantascienza e anche tout court perché a me gli unici romanzi che interessano sono quelli di fantascienza). Secondo, perché un mondo editoriale talmente piccolo da obbligarci a fare questi interessanti discorsi nell’ambito di un sito personale, per quanto carino, non mi interessa. Non per questioni di budget ma di comunicazione. Ho abbandonato il ristrettissimo mondo delle pubblicazioni scientifiche, che se è come dici tu ha molti punti in comune con quello della fantascienza perché nessuno legge nessuno e se ne è costretto ne parla male, per comunicare con la gente attraverso pubblicazioni di interesse collettivo e non vedo nessuna buona ragione tranne quella che ne ricaverei un puro piacere personale nel farlo, per rinunciarvi.

Hai in serbo qualcosa di fantascientifico per il futuro, o L'altra realtà rimarrà un "one-shot"?

Per le ragioni che ho detto, credo che rimarrà un “one-shot”. Se avessi centrato il bersaglio probabilmente avrei continuato perché mi piace. Ma non sono uno scrittore che scrive nonostante i lettori. Oggi che sono diventato uno scrittore di successo potrei anche permetermi il lusso di farmi pubblicare romanzi di fantascienza che non piacciono a nessuno, come a essere onesto ho fatto con L’altra realtà, per il quale ho ricattato Mondadori e per il quale ho la sola scusante di non aver capito che così sarebbe stato e di essermi lasciato andare a quel mio gusto che oggi è fuori moda. Imporre ai lettori dei libri che loro non vogliono per pura esibizione di potere editoriale è una violenza che altri forse fanno ma che io non voglio fare. Se scriverò mai ancora un romanzo di fantascienza (e la tentazione è forte) me lo terrò ben chiuso nel cassetto e lo farò leggere, se proprio lo vorranno, a soli pochi intimi.

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