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mercoledì 13 luglio 2011

Affinita' elettive?


Stavolta posto da un luogo esotico - Mauritius, sono in ferie da qualche giorno - e con molto tempo a disposizione per leggere. Metti insieme due romanzi che in apparenza di comune hanno poco, a parte il fatto che si tratta di due italiani tendenzialmente un po' saturnini, sia detto in senso buono. Parlo di Clelia Farris e Nicolo' Tambone. Sarda la prima, piemontese di Alba il secondo, fanno della malinconia la loro nota distintiva; esordiente il secondo, veterana e pluripremiata autrice di fantascienza la prima, che pero' stavolta e' un po' esordiente a sua volta, perche' si cimenta con un'ucronia, anche se un po' atipica, appunto, alla Farris.
Ma andiamo per ordine. Clelia vince stavolta il premio Kipple con La pesatura dell'anima, opera che immagina un Egitto alternativo in un periodo imprecisato, in cui si da' spazio all'ingegneria genetica e si pratica una giustizia molto avanzata, dove un gruppo ristretto di Giudici - i Sette - punisce si' con la morte l'assassinio, ma riesce anche a far resuscitare la vittima proprio tramite questa morte. Una situazione del tutto insolita, e non e' l'unica cosa insolita di questo romanzo, che oltre al presupposto tecnologico contiene una notevole sperimentazione linguistica, immaginando un gergo della città di Dendera che ovviamente e' del tutto inventato. Non per questo risulta meno godibile, ricordando certi sfizi della coppia Monaldi/Sorti in Secretum, tanto per dirne uno, e altre variazioni sul tema di una narrazione, come l'avrebbe concepita Neal Stephenson.
Quello che disorienta un lettore come me e' paradossalmente il pregio maggiore di questo romanzo, ciò che, guarda caso, lo allontana di più dalle saghe storiche di Monaldi e Sorti e dalla narrativa quasi psichedelica di Stephenson (anche se la narrativa di Clelia alle volte può risultare più che lisergica): l'assenza totale di infodump: scelta benedetta, ma non sempre. In questo caso l'ambientazione risulta vaga, non riesco a comprendere il perche' delle nuove tecnologie, capisco solo dopo attenta rilettura cosa sia questo benedetto Serdab, non mi e' chiarissimo alla fine, e questo è però un male non proprio da poco, il perche' dell'intera vicenda. Ovvio, può essere anche colpa mia, mi posso essere distratto in qualche momento topico, magari proprio mentre cristavo contro l'avarizia narrativa dell'autrice. Ecco, Clelia, come al solito sei stata un po' avara: qualche spiegazione in piu', un glossario meno enigmatico ce lo avresti potuto concedere; uno stile un po' meno chiuso su se stesso mi avrebbe personalmente aiutato, anche perche', giuro, l'attacco lo avevo giudicato ottimo, mi ero quasi emozionato. Poi però l'emozione ha lasciato spazio al disappunto.
Alla prima lettura, insomma, ho capito molto poco sia della trama, sia soprattutto della sua collocazione storica. Il che per un'ucronia non e' poco. L'ambientazione a tratti mi ha esaltato, non ho difficolta' ad ammetterlo, la lingua scelta pure. Tuttavia mi sono trovato a rincorrere tutto il resto. La seconda lettura è andata un po' meglio, ma nondimeno sono rimasto con l'amaro in bocca del lettore che prima si rallegra con tanta carne al fuoco e poi si rattrista quando scopre che troppo poche sono le pagine per cucinarla a dovere. Che sia stata una necessità di forza maggiore - oggi molti editori di sf spingono verso il romanzo breve - o una scelta dell'autrice poco importa. Mons peperit murem.

Diversa la storia dell'albese Tambone. Esordio che poteva essere col botto, questo di Taliani. Un romanzo storico, che nulla ha di fantascientifico o di ucronico, e che e' ambientato tra le Langhe e la Libia coloniale dagli anni '30 fino alla fine del secondo conflitto mondiale.
Anche qui uno scenario estremamente curato, una vicenda studiata fin nei minimi dettagli. Peccato l'autore voglia strafare, si sostituisca regolarmente ai personaggi che pure crea con amore e dedizione. Una disdetta che sempre, regolarmente, sul più bello, decida di sovrapporre la sua voce alla loro. Un po' come se non fosse convinto della propria creazione, e decidesse di soffocare le sue creature nella culla.
Non accade sempre, va detto, e sono le parti migliori del romanzo, quelle vissute nel periodo a cavallo tra la guerra in Africa settentrionale e l'8 settembre in Piemonte. Qui l'equilibrio tra dialogo e vicenda regge bene e ci si appassiona a storie solo in apparenza "minime". Memorabili alcune scene di narrativa vera, in cui Tambone ci descrive la fine della guerra nelle Langhe, tragedie piccole che diventano grandi, quasi epiche.
Cosa dire, in complesso? Un'opera che forse andava editata con piu' calma, ma sulla quale magari si puo' intervenire in un'eventuale seconda edizione, o pensando a un sequel in cui il "narratore universale" decida di far crescere personaggi di tutto rispetto.
Forse questo primo parto avrebbe meritato ancora un po' di tempo per rimanere, davvero, nella memoria.
Per adesso un bravo di cuore a Nicolò e un consiglio: mai farsi prendere dalla fretta.

5 commenti:

  1. Grazie, caro Giampietro, della recensione e delle critiche. È sorprendente, come lettrice, dottoressa Jeckyll, mi trovo spesso d'accordo con le tue osservazioni. Però i romanzi li scrive miss Hyde.
    L'avarizia che tu lamenti per me consiste nel dare al lettore la possibilità di usare la propria fantasia per colmare i “vuoti”. Il mondo della Pesatura è sottinteso e conchiuso, come qualunque altro “mondo” letterario.
    Ciao.
    Clelia

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  2. Cara Clelia, al tuo posto farei - e ho fatto - esattamente lo stesso: bisogna scrivere ciò che si ha dentro il cuore, anche se qualcuno dice che una volta messo su carta, ciò che hai dentro non ti appartiene più, ma se ne impossessa chi legge. Così ho fatto io col tuo romanzo, da buon lettore, Jekyll. Da autore, Hyde, appunto, cambia tutto. Sul mondo della Pesatura, bè, avrei amato saperne di più, ma magari alla prossima ne capisco meglio. Perché c'è una prossima, vero? ;-) Ciao, Giampietro

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  3. Per prossima intendi un seguito della Pesatura? Chissà. Siamo nelle mani degli editori.
    Ciao.

    Clelia

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  4. Grazie per le tue osservazioni, Giampietro. A prendermi la mano non è stata la presunzione di strafare, ma il contesto storico e un certo gusto della divagazione, la volontà di controllare tutto, il timore che i personaggi uscissero dal proverbiale seminato. Ma da qualche parte bisogna pure iniziare, ed io sono contento di averlo fatto. Non credo che tornerò sull'argomento, almeno per ora. Per me è stato un ottimo banco di prova, voglio procedere oltre.
    Ciao, a presto.

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  5. Ciao Nick, lo so che non sei presuntuoso, forse è solo stato l'entusiasmo. Dovessi rieditarlo, pensaci, però...
    @Clelia: il mondo della Pesatura a me personalmente piace parecchio. Se ha intrigato anche altri, un seguito è quantomeno ipotizzabile...

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