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martedì 15 novembre 2011

Sapore di nuovo. Anzi, d'antico


Dunque è accaduto. Nessuno di noi lo riteneva possibile, o comunque, probabile nell'immediato. Le dimissioni di Silvio Berlusconi hanno impresso un'improvvisa accelerazione ai processi politici nel nostro Paese, aprendo di fatto una fase nuova. Già si parla di Terza Repubblica, e si potrebbe discuterne. Già, perché in Francia, dove questi termini sono nati, Prima, Seconda o Terza, o Quarta Repubblica facevano riferimento al cambio, radicale e drammatico, del quadro costituzionale di riferimento. In Italia, invece, il cambio riflette spesso più il venir meno di agganci reali, o emozionali. La Prima Repubblica cadde per la pesante compromissione giudiziaria dei suoi protagonisti politici, riassunti nel Pentapartito affondato da Tangentopoli; la seconda cade con Berlusconi di fatto congedato dal Colle; evento più simile, a ben guardare, al 25 luglio 1943, con l'ovvia eccezione del mancato arresto del protagonista più recente. A ben vedere, però, il 12 novembre come il 25 luglio è il Capo dello Stato a prendere in mano le sorti dell'Italia, e a dichiarare allora la fine di un regime, stavolta di un assetto, che per quasi vent'anni ha caratterizzato il nostro Paese. Un assetto che si riassume in due aspetti: il bipolarismo marcato, la personalizzazione della politica, e il suo diretto corollario: il populismo legato alla forte personalità del Premier dimissionario, il cosiddetto "berlusconismo".
Il 12 novembre 2011 segna dunque questo passaggio epocale: l'Italia si risveglia da vent'anni di personalizzazione della vita politica, di affido a quella personalità che questo tipo di governo, o meglio, di leadership, meglio incarnava. Si è detto che Berlusconi sapesse fare leadership ma non governare. Ecco dunque, sapore di nuovo, anzi d'antico, che si torna invece allo stadio in cui occorre governare, e perciò spazio a chi - si dice - possa appunto, governare: Mario Monti.
Ora, la fiducia in Mario Monti appare almeno in questa prima fase essere più un wishful thinking che qualcosa di veramente reale. Monti è uomo delle banche, di quelle banche che, riunite in un ristretto direttorio, realizzano altissimi profitti scommettendo sul default di intere economie nazionali, determinando come i sovrani assoluti di un tempo, crescite o tracolli quasi con un singolo gesto indifferente.
Liberismo come moderno assolutismo? Banche e finanza come nemici dei popoli? Se ne può e se ne deve parlare, senza scadere nella demagogia. Lo faremo, prima o poi, su queste pagine. Ma rimaniamo per un momento con gli occhi fissi sulla palla, e cioè sulla delicata partita che sta svolgendo Mario Monti: salvare proprio il Paese cui le banche - che egli rappresenta - hanno deciso di dedicare le proprie attenzioni speculative. Un ossimoro? Non proprio.
Mario Monti non è solo esponente della finanza. Non è solo il professore bocconiano. Egli è anche cattolico praticante, ogni volta che parla di sacrifici cerca subito la rassicurazione. A ogni sberla, dice, seguirà una carezza. Un po' come un buon prete salesiano, per chi li ha sperimentati. Rigore e affetto burbero. Ampi sorrisi, e quando serve, un sano schiaffone. Chi molla più schiaffoni nell'Italia in cui tutti hanno diritti e nessuno ha più doveri?
Ritorno alle origini, allora, onestà e pragmatismo, senza dimenticare i più deboli. Certo, c'è del paternalismo in tutto questo. C'è il guardare dall'alto in basso, il professore non si sente certo sullo stesso piano degli operai o degli impiegati statali cui vuole somministrare le carezze di cui sopra. Però esiste una differenza fondamentale rispetto al passato. La tensione etica di Monti è sincera, se dice di volersi impegnare per i deboli, paternalismo o no, è certo che lo farà. Un passo avanti rispetto al passato, e su questo non credo ci siano dubbi.
Sorgono dubbi pesanti invece su molti altri punti che non la buona volontà di Monti.
Intanto, sull'ingenuità del possibile premier: si può davvero, col sorriso sornione sulle labbra, chiedere ai vecchi padroni politici di farsi prima da parte e poi di partecipare al nuovo corso?
Fatti più in la che arrivo io che sono più bravo. Però rimani, che puoi servirmi.
Si può chiedere a chi di fatto si sostituisce e commissaria di fare da notaio alla propria fine?
Come si potrà evitare un probabile soffocamento nella culla di questa nuova sensibilità, di questo nuovo afflato, in una parola cara ai media, di questa Terza Repubblica?
E tutto questo sforzo, verrà premiato dai mercati che Monti dovrebbe in prima battuta rassicurare? Dai primi passi parrebbe di no.
Due incognite pesanti. Poi parlerò della terza, quella sociale, ma non prima avere detto perché, a mio avviso, dalla politica Monti non ha moltissimo da temere. Il suo governo prossimo venturo nasce come governo del Presidente. Il Capo dello Stato ha messo tutto il suo prestigio e la sua forza in questa operazione. Operazione tutta dentro la Costituzione, va sottolineato. Eversiva lo è stata, ma solo della deriva populistico-emozionale che aveva preso la cosiddetta Seconda Repubblica. Le indiscrezioni su un ex prefetto candidato al ministero dell'Interno e un ex generale consigliere militare dello stesso Presidente alla Difesa la dicono lunga sui fremiti che in queste settimane hanno attraversato settori-cardine, ancorché silenti, della nostra società e delle istituzioni.
Abbiamo rischiato di peggio, credo.
Ma quello che voglio dire è che grazie alla cosiddetta "moral suasion" del Capo dello Stato l'Italia è politicamente già stata traghettata nel dopo-Berlusconi. Monti, salvo sorprese, sarà il nocchiero verso la prossima fase. Che, vecchi politici volenti o nolenti, vorrà dire governo di fine legislatura, nuova e finalmente equa legge elettorale, fine probabile del bipolarismo e possibile ritorno al proporzionale.
Cura da cavallo liberista per rimanere in Europa, condizione indispensabile per un Paese che l'Europa l'ha fondata e che non se ne può ritirare come se niente fosse. Probabile spinta generale verso un'unificazione anche politica dell'UE, unico modo per evitare speculazioni sui "ventri molli".
Ma chi pagherà questo passaggio epocale?
Lo pagheremo tutti, è chiaro. Lo pagheranno i giovani, le donne, le classi a reddito fisso. Sarebbe doveroso che - e questo il cattolico Monti lo sa - lo pagassero ben bene anche coloro che non hanno mai pagato il prezzo di viverci, in questo Paese. Il prezzo maggiore sarà però a carico dei soliti noti. E qui sarà difficile far capire la scala delle nuove necessità. Far capire come un Paese moderno non possa rimanere ancorato a presupposti sociali da Stato assistenziale, un posto fisso per tutti e pausa caffè a volontà e senza timbrare.
Sarà però d'altro canto anche cura del nuovo Premier farsi lo statista che il suo predecessore non è mai stato, e dunque risparmiare e razionalizzare, sì, ma indicare anche le linee di sviluppo per il futuro.
Seminare pragmatismo, ma dare anche speranza. Smontare populismo e demagogia con le armi del realismo e del buon senso. Diffondere la cultura della comunità.
La Terza Repubblica potrebbe essere quella della condivisione sociale. Sarebbe un passo da gigante.

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